Gli abstract sono pubblicati considerando l’ordine numerico dei workshop.
Alida Franceschina
Counseling orientativo: perdere il lavoro e… ritrovare la speranza. Raccontiamo un progetto di rete, promosso da Regione Lombardia, che prevedeva azioni di politica attiva del lavoro per disoccupati: nel dettaglio, riferiremo della fase di orientamento rivolta a 15 persone che hanno partecipato ad 8 incontri di gruppo settimanali. La complessità del progetto si è manifestata sia sul fronte organizzativo, sia sul fronte della relazione d’aiuto. Aiutare gli individui nella progettualità significava contrastare il senso di disillusione e fallimento, di paura di non farcela. Le parole di Pagliarani, fondatore di Ariele, sono state la bussola: l’importanza di esercitare la capacità negativa, di tenere insieme le due polarità compresenti, – la possibilità e l’impossibilità -. Sul fronte organizzativo, è stato necessario costruire linguaggi e strumenti di lavoro condivisi in tempo reale con i partner . Questo è stato possibile grazie agli strumenti della consulenza al ruolo appresi alla Scuola di Ariele. Metteremo in luce l’evoluzione dei comportamenti di una partecipante, Rosa: attraverso di lei coglieremo il clima del gruppo e l’apertura verso la speranza. Molti i quesiti: come declina il ruolo il counselor tra l’ascolto e la definizione di un setting che consenta di elaborare in termini emotivi la perdita del lavoro, a contrastare il senso di disillusione e fallimento? Come aiuta le persone a valorizzare e riconoscere la propria storia di vita ricca di competenze in un mondo del lavoro che fatica ad accettare gli adulti con più di 45 anni?
Gilda Maria Greco
L’incontro è un atto creativo di co-costruzione in cui ognuno/a contribuisce con il proprio stile, i propri colori, filati, disegni e il tessuto realizzato è senz’altro più della somma delle parti. Il workshop si propone di stimolare i partecipanti e le partecipanti a osservare nel “qui ed ora” il proprio modo di stare nella relazione con l’altro/a e con il gruppo e, attraverso il proprio stare in presenza, com-prendere e agire responsabilmente per il proprio miglior-essere nella relazione. Nel corso del workshop verranno proposti una serie di esercizi, per lo più non verbali, che permetteranno ai/alle partecipanti di sperimentare diversi posizionamenti relazionali duali e/o gruppali personali e professionali (buona distanza, vicinanza invasiva, relazione up-down, relazione di reciprocità, relazione di inclusione-esclusione, relazione equilibrata o squilibrata tra dare e ricevere, relazione proiettiva, ecc.), in modo da favorire in loro una maggiore consapevolezza e una loro scelta di buon posizionamento, come adattamento creativo dato il contesto. I diversi passaggi individuali e di gruppo verranno successivamente espressi concretamente andando a formare una tessitura finale di gruppo. Il workshop, da un punto di vista teorico, si basa sull’approccio pluralistico integrato. A partire dalle attitudini base del counselor (empatia, accettazione incondizionata, autenticità, presenza attiva, contemplazione ricettiva, neutralità) come base relazionale verso se stessi/e e verso l’altro/a, si farà riferimento ai concetti gestaltici di continuum di consapevolezza (come base per l’auto-osservazione di sé e come strumento di auto-osservazione del cliente), di confine-contatto, di respons-abilità, di adattamento creativo dato il contesto (come fondamentali nell’incontro “Io-Tu” di Buber e di un incontro rispettoso all’insegna dell’Okness). Verranno anche proposti alcuni concetti propri delle Costellazioni Familiari, quali la legge dell’appartenenza e dell’inclusione di tutti i membri di un sistema e la legge dell’equilibrio e, dunque, dell’importanza dell’equità tra dare e ricevere (importanti concetti sia nella professione del counselor che nella funzione del counseling come catalizzatore di evoluzione e trasformazione sociale).
Massimo Soldati
Il workshop vuole dare una esperienza diretta di come la principale risorsa che accomuna un buon counselor ed un buono psicologo (ed in genere un professionista delle professioni d’aiuto) sia il saper essere. Il sapere come esperienza culturale/cognitiva è sottoposto a leggi e mode scientifiche che variano nel tempo e vanno ben tenute presenti nella loro relazione con il nucleo profondo della esperienza d’aiuto. Ciò che ieri era valido oggi non lo è più, ciò che oggi è legge domani non lo sarà, cosa rimane di stabile, su cosa fondare la propria integrità, più che l’identità professionale? Durante il workshop sarà presentato un modo di risolvere problematiche, anche di tipo professionale, che parte dal saper essere. La esperienza trae origine dalla Postural Integration di Jack W. Painter elaborata passando attraverso vari e diversi contesti culturali da Massimo Soldati ed i suoi collaboratori sino a divenire Bodywork Transpersonale, tecnica applicata al benessere ed al contesto aziendale come Bodyworking@work. Faremo ricorso a corpo, movimento, danza, gioco, espressività, mindfulness per stabilire dentro di noi quel click che porta alla trasformazione. Tale click è la esperienza dell’essere. Uno psicologo efficace deve avere questa risorsa, anche se in certi contesti è purtroppo assente, per un counselor essa è addirittura fondante ed irrinunciabile. E’ bene perciò che sia chiara la scala gerarchica dei valori: benché siano parimenti utili saper fare, saper essere, sapere tout court, per un counselor soprattutto se non c’è il saper essere non si può connotare un valido intervento. Dobbiamo anche capire la validità scientifica del saper essere e non farci trascinare dalla deriva cognitivistica che impone il capire e teorizzare come valori in rilievo. Tutta la Psicologia Umanistica ha insistito sulla necessità di saper comunicare la intelligenza del cuore e la capacità di essere e tali risorse devono venire valorizzate e poste nella luce che meritano. Esse sono efficaci, hanno una sempre maggiore validazione scientifica, vedi ad esempio i ben conosciuti studi di Goleman, e devono far parte non solo dell’arsenale operativo del counselor (saper fare), ma anche e solidamente di quello teorico.
Alessandra Monasta e Fabrizio Zambardi
Il workshop vuole presentare una nuova prospettiva di apertura lavorativa per il counseling in ambito sportivo, precisamente nel Calcio. Da uno studio dei vari ambienti che verrà descritto, appare essere un terreno molto fertile e aperto alla sperimentazione, e le figure sulle quali andare ad intervenire sono di varia tipologia. Allenatori e Dirigenti si stanno rendendo conto della necessità di un allenamento globale della persona, che tenga in considerazione quindi tutti i fattori della Match Analysis: preparazione fisica, tecnica, tattica, fattore mentale-emotivo (fino ad ora mai considerato). L’opportunità dell’inserimento del counselor all’interno di uno staff tecnico di una Squadra di Calcio, verrà descritta condividendo lo studio effettuato in collaborazione con alcuni professionisti in ambito sportivo, e raccontando, in co-docenza con il Mister in seconda, l’esperienza di questi mesi con il Teramo Calcio. Fattori sinergici evidenziati: come è stata costruita la relazione, le modalità di lavoro con la Squadra, l’interazione con lo Staff e la Società, i valori da mettere in gioco, le tecniche e le metodologie di counseling, l’importanza delle competenze trasversali, il monitoraggio della relazione continuo e auto-osservazione, le dinamiche che mette in atto il gruppo, l’importanza di uno studio continuo del counselor sportivo. L’obiettivo è la creazione di un Metodo di lavoro che poi sia comune ai counselor che andranno a lavorare in ambito calcistico e sportivo.
Barbara Noci
Il counselor è un professionista che sostiene, orienta , educa, produce formazione permanente. Il counselor è una figura che può inserirsi con attività utili e produrre concretamente “benessere”, operando a pieno titolo nelle scuole di ogni ordine e grado, in spazi e percorsi di sostegno alla famiglia, come formatore e passare quindi le basi per competenze ormai basilari affinchè possano emergere risorse personali, si consolidi autostima e strategie alternative , di fronte a difficoltà variabili. Ha scritto Guy Le Boterf: “La competenza non risiede nelle risorse da mobilitare ma nella mobilizzazione stessa di queste risorse…Qualunque competenza è finalizzata (o funzionale) e contestualizzata… La competenza è un saper agire o reagire riconosciuto” (Le Boterf, G. De la compétence. Essai sur un actracteur étrange, Paris, Edition d’Organisation, 1994).
Mariangela Parisi
Quando due o più persone stabiliscono un rapporto, c’è sempre qualche attesa da parte di ognuno nei confronti di ciò che desidera da quella relazione” . La definizione del contratto di counseling rende esplicite tali intenzioni e esplicita le regole che ne costituiranno la cornice. Una riflessione, in particolare, verrà proposta sul processo di aiuto riguardante la definizione dell’obiettivo di lavoro. Esplorazione dei vantaggi nell’ambito della stipulazione del contratto, della fase di facilitazione e individuazione dell’obiettivo, e suo utilizzo costante a livello metodologico: natura bilaterale del contratto di counseling; piano di lavoro condiviso; grado di realizzazione degli obiettivi prefissati; valutazione dei progressi fatti verso il suo raggiungimento; relazione professionale collaborativa e ruolo paritario in vista del raggiungimento; monitoraggio duplice ad opera del cliente e ad opera del counselor Esplorazione di caratteristiche di obiettivi di lavoro e focus sui piani cognitivo ed emotivo nel processo d’aiuto Tecniche principali (modello umanistico esistenziale integrato) utilizzate per accogliere la domanda del cliente, “mettere ordine,” nelle parole che esprime, “focalizzare l’attenzione” su aspetti potenzialmente significativi della sua narrazione, rendere trasparenti le affermazioni significative a volte confuse, affinché l’obiettivo possa emergere –e insieme al cliente, definito verbalizzato e contrattualizzato. Ipotesi di rinvio in presenza di domande/obiettivo caratterizzanti percorsi di aiuto diversi dal counseling.
Giorgio Piccinino
Come se la vita non fosse già abbastanza difficile! Spesso le persone si rovinano l’esistenza da sole e per di più con coloro con cui vivono o lavorano. Si raccontano per assolversi un po’, che certi atteggiamenti alimentano la crescita (l’invidia), l’amore (la gelosia) e addirittura il progresso, (la competitività), e che sono naturali e utili. E intanto si intorbidano lo sguardo e il cuore. Non c’è dubbio che siamo tutti un po’ invidiosi, gelosi o competitivi, come del resto siamo tutti anche un po’ ansiosi e infelici, ma è questo un buon motivo per considerare questa condizione umana come sana e immutabile? Io penso che le vipere siano da evitare piuttosto che portarsi in tasca degli antidoti, per rimediare dopo e durante l’avvelenamento. Penso che crescere voglia dire maturare, non essere sempre più ricchi o conquistare più territori o certezze e tanto meno arroccarsi in ciò che possediamo e nemmeno cercare di essere ciò che non si è. Penso che diventare adulti equilibrati voglia dire sprecare meno energie, fare una buona manutenzione, amare se stessi e il prossimo, stare in armonia con l’ambiente, godersi la vita e ciò che si ha. Che poi sarebbe ciò che si è.
Invidia, gelosia e competitività hanno molto in comune, anche se poi ognuno di questi sentimenti, quando sono esasperati e velenosi, hanno la loro genesi e il loro sviluppo.
Insieme troveremo cosa li induce e, per quanto è possibile in questo breve workshop, rifletteremo un po’ su di noi per trovare anche qualche rimedio. L’obiettivo è fornire ai counselor qualche strumento in più per aiutare le persone (e se stessi) a non ingerire né produrre veleni e soprattutto a non accettare e dare per scontato ciò che anche la nostra società spesso ci induce, non certo pensando alla nostra felicità.
Maurizio Tomio
Durante il workshop verrà proposta, attraverso il canale esperienziale, l’utilità della pratica meditativa Mindfulness per la crescita personale del Counselor, e l’importanza della stessa come strumento di lavoro nella relazione d’aiuto. La Mindfulness è una qualità della mente che può essere coltivata e sviluppata, insieme ad altri fattori come la concentrazione e la tranquillità, attraverso la meditazione. In particolare indica lo stato mentale di consapevolezza che si attiva portando l’attenzione alla propria esperienza psicocorporea così come si svolge momento per momento; un tipo di attenzione intenzionale, bilanciata, non giudicante, centrata sul presente e “partecipe”, ossia unita e connessa con ciò su cui essa rivolge lo sguardo. Indica, quindi, una presenza mentale che permette di conoscere cosa stiamo sperimentando nel momento esatto in cui lo proviamo, senza esserne identificati o travolti. Molte delle nostre difficoltà nascono dalla costante abitudine di pensare, ripensare e rimuginare sui nostri vissuti, lasciando che i pensieri si succedano in continuazione travolgendoci: attaccati alle costruzioni della mente rimaniamo invischiati come se esse costituissero delle realtà presenti, insormontabili. Tendiamo a identificarci con pensieri, fantasie e stati d’animo che ci provocano sofferenza, creando con la nostra mente le basi della nostra infelicità. Allontanandoci da ogni consapevolezza, non sperimentiamo quasi mai cosa significhi essere in uno stato di presenza mentale. Raramente pensiamo al presente, e quando lo facciamo è spesso per preparare e pianificare il futuro, poiché il presente non è mai il nostro fine, ma solo l’avvenire. Viviamo molto nel passato e anche nel futuro, ma in effetti non viviamo mai: preparandoci sempre a rincorrere la felicità inevitabilmente cadiamo nell’infelicità. Saper tornare al momento presente consente invece di sentirsi davvero autenticamente vivi, liberi dai blocchi del passato e dalle anticipazioni del futuro. Praticare Mindfulness ci insegna a prestare attenzione al flusso della percezione, piuttosto che all’interpretazione di ciò che accade, permettendo di percepirci sintonizzati ad ogni attimo della nostra vita, così come siamo. Significa allenare una vigile consapevolezza verso ciò che entra nel campo della percezione, senza lasciarsi andare in ragionamenti, giudizi, o tentativi di spiegazione. Praticare ci conduce a guardare la realtà con gli occhi di un bambino, pieni di stupore e curiosità, di meraviglia e amore per le novità. Mindfulness è discernimento, consapevolezza, attenzione non giudicante e partecipe: unita a ciò che c’è ora, con pienezza di cuore, pace, accettazione e fiducia.
Elena Trucco
La formazione dei counselor non può escludere, a mio avviso, anche una formazione in marketing. Ho avuto modo di constatare come il percorso triennale non sia sufficiente a rendere autonomi i professionisti appena diplomati i quali spesso si scoraggiano di fronte ad un mercato che riconosce ancora poco la figura professionale del counselor. Dare nozioni e strumenti di marketing renderebbe più facile l’accesso al mercato e quindi anche maggiore visibilità a questa professione. In particolare nozioni di web marketing, di presenza in rete, di etica e valori del marketing del counseling, di credibilità etc. Strumenti che diano sicurezza e visibilità alla nostra professione con l’augurio che tutti i diplomati counselor esercitino e che quindi il processo di conoscenza di questa professione si acceleri un po’ visto il grande bisogno presente.
Marianna Turriciano
Estetica, dal greco “αἴσθησις”, significa “sensazione, percezione”. Originariamente, l’estetica è l’aspetto della conoscenza che riguarda l’uso dei sensi. Si parte da un sentire per distinguere ciò che è bello per sé e costruire la propria visione del mondo. Un sentire soggettivo. Nell’approccio umanistico, è importante un’estetica relativa, soggettiva, poiché uno dei suoi principali fondamenti è il valore riconosciuto all’individualità. Rispettare la soggettività altrui, che si manifesta a tutti i livelli dell’esperienza, diventa pertanto una questione di etica personale e professionale. In una visione più ampia, a livello sociale, questo atteggiamento etico concorre positivamente alla creazione di relazioni nutrienti e responsabili, che influenzano la qualità della nostra vita. Tra le competenze di base di un counselor ci sono la capacità di riconoscere la legittimità del mondo dell’altro e la responsabilità di agevolare un contatto empatico. Partendo dall’ascolto di sé e dell’altro, l’obiettivo di questo workshop è quello di sperimentare la propria capacità di essere contemporaneamente presente a sé e all’altro, attivando un contatto autentico e accettante, al di là delle parole. Il linguaggio analogico, infatti, è un canale molto più potente di quello logico, sebbene quest’ultimo sia spesso preferito dalla nostra società. Attraverso la voce, lo sguardo e i gesti, lo scopo è parallelamente quello di potenziare la propria capacità creativa di comunicare ed esprimersi, e creare un contatto empatico come base per un atteggiamento professionale etico.