Il prossimo 15 ottobre entra in vigore l’obbligo di green pass per accedere ai luoghi di lavoro, ma molti dubbi sorgono in merito agli studi professionali di counseling.
Ciò che crea particolare confusione è la possibile interpretazione dell’articolo 3 del Decreto-legge (Disposizioni urgenti sull’impiego di certificazioni verdi COVID-19 in ambito lavorativo privato), quello che va a normare il comportamento da tenere negli studi professionali.
Come associazione di categoria abbiamo stilato questo vademecum, con la consapevolezza che le disposizioni previste dal legislatore sono, a nostro avviso, formulate in maniera del tutto generica e a tratti poco comprensibile, poiché non viene fatta alcuna distinzione tra professionisti, artigiani, imprese (piccole, medie, grandi, uninominali, etc.) né vengono prese in considerazione situazioni specifiche.
Partiamo però prima di tutto dalla lettura dell’articolo 3:
1. Al decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, dopo l’articolo 9-sexies, come introdotto dall’articolo 2, è inserito il seguente:
«Art. 9-septies (Impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nel settore privato). – 1. Dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, a chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19 di cui all’articolo 9, comma 2. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 9-ter, 9-ter.1 e 9-ter.2 del presente decreto e dagli articoli 4 e 4-bis del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica altresì a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di cui al comma 1, anche sulla base di contratti esterni.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.
4. I datori di lavoro di cui al comma 1 sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 2. Per i lavoratori di cui al comma 2 la verifica sul rispetto delle prescrizioni di cui al comma 1, oltre che dai soggetti di cui al primo periodo, è effettuata anche dai rispettivi datori di lavoro.
5. I datori di lavoro di cui al comma 1, definiscono, entro il 15 ottobre 2021, le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche di cui al comma 4, anche a campione, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, e individuano con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento delle violazioni degli obblighi di cui ai commi 1 e 2. Le verifiche delle certificazioni verdi COVID-19 sono effettuate con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell’articolo 9, comma 10.
6. I lavoratori di cui al comma 1, nel caso in cui comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risultino privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della predetta certificazione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.
7. Per le imprese con meno di quindici dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata di cui al comma 6, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta, e non oltre il predetto termine del 31 dicembre 2021.
8. L’accesso di lavoratori ai luoghi di lavoro di cui al comma 1 in violazione degli obblighi di cui ai commi 1 e 2, è punito con la sanzione di cui al comma 9 e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di settore.
9. In caso di violazione delle disposizioni di cui al comma 4 o di mancata adozione delle misure organizzative di cui al comma 5 nel termine previsto, nonché per la violazione di cui al comma 8, si applica l’articolo 4, commi 1, 3, 5 e 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74. Per le violazioni di cui al comma 8, la sanzione amministrativa prevista dal comma 1 del citato articolo 4 del decreto-legge n. 19 del 2020 è stabilita in euro da 600 a 1.500.
10. Le sanzioni di cui al comma 9 sono irrogate dal Prefetto. I soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni di cui al medesimo comma 9 trasmettono al Prefetto gli atti relativi alla violazione».
Dalla lettura di questo articolo, possiamo trarre sicuramente un’informazione certa: è previsto l’obbligo di green pass per accedere ai luoghi di lavoro non solo per i dipendenti, ma anche per «tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di cui al comma 1, anche sulla base di contratti esterni».
Passiamo dunque a ipotizzare alcuni possibili scenari:
Devono avere il green pass i dipendenti, i collaboratori e i tirocinanti. Il titolare dello studio (o un soggetto incaricato ad hoc) è preposto al controllo e all’accertamento della violazione di tale obbligo. In questo caso il professionista coincide con il datore di lavoro.
Se da una parte l’obbligo di green pass sembrerebbe ravvisarsi anche in riferimento a studi associati, associazioni tra professionisti, società tra professionisti e anche locali condivisi, dall’altra non risulta possibile individuare un “datore di lavoro” (essendo tutti liberi professionisti) e dunque non risulta possibile individuare chi è preposto al controllo e all’accertamento della violazione di tale obbligo.
Per questo suggeriamo di individuare i soggetti responsabili dell’adempimento degli obblighi introdotti, figure che potrebbero coincidere – come suggerito dal Consiglio nazionale forense – con i legali rappresentanti dello studio.
Se il counselor esercita la professione in forma autonoma, da solo presso il proprio studio, è obbligato al possesso del green pass? E, nel caso, chi dovrebbe controllare?
Dalla lettura della norma sembrerebbe di sì, poiché il Decreto-legge è applicato indistintamente a tutti i luoghi di lavoro pubblici e privati con la finalità di prevenire la diffusione del contagio.
Non risulta però disciplinato il controllo del rispetto di tali disposizioni. Si ipotizza dunque che il professionista medesimo potrà essere chiamato a rispondere della responsabilità e della imputabilità delle sanzioni di cui al comma 9 dell’art. 9 – septies.
Chi accede agli studi senza essere un «lavoratore» va comunque controllato? Al momento il legislatore non si è espresso. Dunque, in attesa di nuove disposizioni o circolari interpretative, permane l’obbligo di adottare il protocollo di cui all’allegato 9 al DPCM 2 marzo 2021 (misurazione della temperatura, distanziamento, etc.).
Nelle ipotesi di mancata verifica del rispetto delle prescrizioni e mancata adozione di misure organizzative nel termine indicato, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria che va dai 400 ai 1.000 euro.
Qualora il lavoratore acceda al luogo di lavoro senza green pass, la sanzione risulta più severa: da 600 ai 1.500 euro.
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