Gli abstract sono pubblicati considerando l’ordine numerico dei workshop.
Francesco Aprile
Il workshop racconterà l’esperienza di un intervento di counseling con un malato di SLA, soffermandosi su tre punti di potenziale importanza per altri counselor: 1) la tipologia di malattia e il suo alto impatto sulla vita del cliente, che ha richiesto un setting e delle attenzioni comunicative ad hoc; 2) il contenuto del percorso, orientato ad un sostegno della resilienza; 3. l’integrazione del percorso di counseling con un’azione di “cittadinanza attiva” sfociata nel progetto “Io posso” (www.ioposso.eu).
Fernando Battista
Il lavoro prende spunto dal viaggio inteso come metafora del processo del professionista della relazione d’aiuto, territori da attraversare, costituiti da uno spazio interno quale la relazione con il proprio sè, ed esterno, cioè l’altro, i suoi vissuti, luoghi, immagini.
Nell’incontro tra counselor e cliente si stabilisce una relazione tra mente e corpo tra due persone che sperimentano unione e separatezza. Compito del counselor è rendere significativo lo spazio condiviso. Questo spazio può essere considerato, citando Winnicott, “transizionale” perché attraversa due mondi, e quando si torna nel proprio spazio, non è mai lo stesso della partenza; quel luogo d’incontro, sostenuto dall’empatia, quella terra di mezzo diventa una linea di confine. Un lavoro sui luoghi dell’io e del tu che genera un NoiLuogo (parafrasando M. Augé) dove la relazione può vivere la veste transferale, controtransferale, l’accettazione incondizionata, il ruolo del bambino o del genitore; in quel luogo si manifesta l’empatia, quel “come se una sola fosse la persona” (C. Rogers).Ma l’essere empatico implica il restare nelle proprie radici mentre i rami s’incontrano a metà strada, i profumi si confondono creando quel luogo intermedio tra il mio ed il tuo. Generare quell’”attunement”, quella sicronizzazione nell’interazione non verbale implicita, rifacendoci a Stern (2004), che possiamo tradurre in empatia corporea o, meglio ancora, empatia cinestesica che ci rende capaci di sentire e rispondere allo stato emotivo del cliente e rispondere attingendo al nostro vissuto interiore, alla corrispondenza profonda sollecitata da tali immagini. Foulks (1982) suggerisce che il sintonizzarsi sull’esperienza cinestesica dell’empatia è una fonte inesauribile di insight. La sfida del Counselor è impegnativa perché se da un lato si prepara ad accogliere complessi stati emozionali, dall’altra necessita di avere capacità di separarsene per poterli restituire come una molteplicità di specchi dove il cliente possa rivedersi. Il bisogno profondo di una partecipazione reciproca e simultanea di empatia sia psichica che somatica è da incoraggiare proprio per integrare informazioni preziose che possono emergere (Schwartz-Salant – 1986). La DanzaMovimento Relazionale-Creativa nel Counseling usa il corpo per ricevere, accogliere, contenere e restituire le informazioni passate dal corpo del cliente il corpo stesso diventa camera di risonanza per l’incontro e lo scambio.La prossimità di un vissuto che non mi appartiene, ma che in qualche modo riconosco, mi porta di fronte alla possibilità di accogliere l’invisibile che si manifesta nella postura del corpo, nei gesti, nella danza di quell’istante, in quel NoiLuogo che non è di nessuno ma appartiene ad entrambi.
Elena Bonamini
L’esperienza proposta è relativa ad un progetto rivolto ad un gruppo di 50 Coordinatori di un’Azienda Socio Sanitaria, che si è sviluppato da marzo a dicembre 2015, in fasi collegate a dimensioni diverse dell’agire organizzativo e dello sviluppo individuale e di gruppo. La complessità dell’approccio proposto e la necessità di tenere insieme organicamente e in coerenza le diverse dimensioni, è stata una sfida che mi ha richiesto quale counselor, di essere costantemente “in gioco” e presente nel “fuori” organizzativo, ma anche di so-stare nel “dentro”, nell’incertezza e contemporaneamente nella presenza e consapevolezza di sé, attingendo a quelle competenze sperimentate durante il percorso formativo in Ariele: dalla “capacità negativa”, capacità di attesa e riflessione, alla accettazione dell’”angoscia della bellezza” quale energia che veicola e rende possibile il progetto. Dopo la narrazione del caso verrà avviata la discussione: la figura del counselor, i valori fondanti il suo agire, gli strumenti, la dinamica consulente-committente-cliente, i risultati individuali e gruppali ottenuti, oltre al confronto sulla parte innovativa da me introdotta che, coniugando incontri individuali con incontri gruppali, secondo la “Prassintesi” – come creativamente l’ha chiamata Pagliarani -, ha confermato l’ipotesi di un loro reciproco potenziamento.
Barbara Bruzzi
Questo lavoro prende spunto dal titolo del convegno “Oltre Antigone e Creonte”, che invita a una riflessione sul conflitto talvolta esistente tra le leggi scritte, trasversali a tutti gli appartenenti a una società, e le leggi “interiori”, personali, di ciascun individuo. Quello che ha colpito la mia attenzione è la rigidità che spesso assumono entrambe le posizioni Antigone/Creonte e da qui al contrario la figura di Tiresia, che osserva dall’esterno, contrapponendo allo sguardo chiuso alla sola propria visione di Antigone e Creonte, uno sguardo più aperto, anche al futuro, capace di tenere conto di tutti gli eventi in atto, traendo così una maggiore comprensione di quanto accade e rendendo possibile una differente possibilità d’azione. Ho immaginato che questo ampliamento di visione fosse quello del counselor innanzitutto rispetto a se stesso, alla definizione della propria identità, come punto di partenza per favorire la propria flessibilità professionale, per ampliare le proprie possibilità di intervento e per una integrazione maggiore tra differenti professionalità. La proposta di questo workshop che si inserisce nel modello gestaltico, è quella di esplorare come ciascuno ha costruito la propria identità professionale, quali esperienze l’hanno definita ma anche quali possibilità di integrazione con altre competenze personali o della propria rete non sono state utilizzate e quali ampliamenti sono possibili. Nel ripercorrere la propria storia professionale, si parte dall’identificazione in una prima fase dei momenti-chiave (pre-contatto), sia positivi sia negativi, vissuti e nella loro visualizzazione in una semplice successione temporale come sequenza di eventi (visione globale degli eventi). Successivamente l’attenzione viene portata sia agli elementi critici dei momenti difficili(contatto/contatto pieno), sia alle risorse, alle strategie e alle azioni intraprese per superarli o per dare una svolta positiva al proprio percorso professionale (visione globale delle risorse/azioni agite). Nella fase successiva viene riesaminata la linea temporale, stavolta cercando di tenere conto delle omissioni, delle risorse/competenze disponibili ma non utilizzate (esplorazione delle risorse/competenze ulteriori). Infine lo sguardo viene rivolto a possibili scenari futuri, alle risorse disponibili/potenziabili o azioni attuabili alla luce di una visione (forse) un pò più ampia rispetto alla propria identità di professionista. Il lavoro si conclude con una condivisione di gruppo (post-contatto).
Claudia Pietrantoni e Silvano Croci
Il counselor aziendale considera la risorsa umana come la prima e fondamentale risorsa.
Allo stesso tempo il counselor che si trova ad operare in ambiti organizzativi deve tener conto che l’azienda è un Sistema artificiale che nasce per produrre profitto. Dispone di tecnologie, procedure, ha processi precisi e prende decisioni in modo gerarchico. In tale contesto il counseling aziendale ha un obiettivo primario: il potenziamento e lo sviluppo delle risorse dell’individuo, attivando le capacità latenti di ognuno e trasformandole in capacità reali, dando spazio all’efficacia relazionale e alla soddisfazione personale in rapporto al proprio vissuto professionale. Il counseling in azienda aiuta quindi a migliorare il livello di competenze individuali, la qualità della collaborazione, e insieme impronta una relazione che riveli motivazioni, ambizioni, conflitti e incapacità di gestire le proprie frustrazioni, che agevoli la messa in campo delle risorse presenti, esalti il senso di appartenenza e le potenzialità inespresse di tutti gli attori dell’organizzazione. Attraverso le modalità del counseling di gruppo, con integrazioni fra la mediazione artistica, il confronto empatico ed il team-building, scopriremo come il counselor, utilizzando se stesso, può agevolare la presa di consapevolezza dei lavoratori a tutti i livelli, ed il counseling può essere uno strumento armonizzante che, pur utilizzando il “problem solving” (cioè un metodo di lavoro pratico, legato all’agire), tiene conto anche del fatto che il fare non è disgiunto dall’essere e che la “formazione” nella conoscenza e motivazione di sé è fondamentale per ottenere in qualsiasi campo risultati soddisfacenti. Trovare il giusto dialogo tra il sistema azienda (con i suoi valori e le sue peculiarità) e il sistema counseling (con i suoi valori e le sue peculiarità) è quindi una prerogativa fondamentale.
Lucia Centolani, Gioia De Marzi
Il workshop propone un lavoro sull’empatia utilizzando alcune tecniche legate alle Costellazioni Familiari Sistemiche. Non è un workshop di Costellazioni, ma permette di sperimentare in prima persona alcune tecniche utilizzabili anche dai counselor, che servono ad esplorare in un modo diverso il vissuto dell’altro. L’empatia è una competenza umana innata che può essere sviluppata e accresciuta e che permette, tra le altre cose, di andare oltre posizioni rigide, legate a convinzioni, su di sé, sugli altri e sulla Vita. Facilita la comprensione del vissuto all’interno della relazione, anche attraverso il sentire. In questa più ampia apertura di comprensione, ci si “umanizza”, è possibile uscire dai “giochi” e dalle dinamiche e si eleva la qualità della relazione. Con le tecniche di derivazione delle Costellazioni, possiamo sperimentare il vissuto dell’altro “abitandolo” e sentendo come l’altro sente davvero, in tutto il suo essere biopsicofisico, una certa situazione. La persona infatti che esplora una situazione attraverso le tecniche di costellazioni, diviene un rappresentante all’interno del campo della persona che rappresenta, e sente a tutti i livelli come “se” fosse quella persona “senza perdere la qualità del se”. La visione che sottende questo lavoro è una visione che si basa sulla volontà di includere tutto ciò che c’è in una data realtà, comprendendolo senza giudicarlo e senza escludere ciò che non piace. In questo senso è un’esperienza di realtà e semplicità: si vede, si vive e si comprende ciò che c’è, e non ciò che pensiamo ci sia, in una data dinamica.
Questo lavoro può essere svolto, sia relativamente a dinamiche relazionali interpersonali, sia relativamente a dinamiche intrapersonali; sia in ambito privato, che aziendale. È un lavoro che permette quindi il monitoraggio dei propri movimenti interni, lavoro prezioso per ogni counselor, e che può essere proposto ai clienti, per esplorare i propri vissuti.
Gabriella D’Amore
Il counseling espressivo si avvale del “fare artistico” come filo conduttore del percorso di crescita. Esso utilizza le potenzialità , che possiede ogni persona, di elaborare creativamente tutte quelle sensazioni che non si riescono a fare emergere con le parole.
Immergersi nel processo creativo è un’esperienza che stimola al pensiero divergente e alla sperimentazione di prospettive nuove e nuovi modi di pensare che portano ad un adattamento alla realtà “attivo” teso a trovare soluzioni ai problemi o impasse che si possono presentare nel corso della vita. Così come nel processo evolutivo del cliente i vari strumenti dell’ARTcounseling possono rappresentare il filo d’Arianna per uscire dal labirinto di pensieri e comportamenti ripetitivi e disfunzionali, allo stesso modo possono essere un valido mezzo di auto-osservazione e monitoraggio del paesaggio interno del Counselor come prevenzione al burn-out e a tutto ciò che questo comporta. Il workshop vuole, quindi, condurre i partecipanti a prendere un primo contatto con alcuni strumenti propri del Counseling Espressivo: lo Scarabocchio, il Disegno Analogico e il Mandala spiegandone le diverse funzioni e modalità di approccio in modo da poter portare via una “ricetta pratica” spendibile all’evenienza.
Francesca De Santi e Ilaria Pacini
Proponiamo un workshop per condividere un metodo che stiamo mettendo a punto grazie ad una sperimentazione di pratica professionale che unisce la Scrittura Autobiografica, di sé e Creativa al Counseling. Uniamo le tecniche e i tempi della Scrittura alle abilità e alle tecniche del Counseling. Abbiamo infatti sperimentato, prima su noi stesse e in seguito, come professioniste nei “Laboratori di Counseling e Scrittura di sé” che teniamo regolarmente da oltre tre anni, che questo connubio genera nuovi ed efficaci strumenti per agevolare l’auto-osservazione ed il contatto della persona con se stessa. Questo metodo, potenziato dal lavoro di gruppo, aiuta l’attivazione dei ricordi, il riconoscimento delle emozioni, il ripensare alla propria storia con nuova consapevolezza, con lo scopo di migliorare la qualità della propria vita.
Ilaria Di Donato
L’intervento proposto si pone come obiettivo di mostrare come mindfulness e meditazione possano rappresentare una importante chiave di intervento nel counseling, assolvendo a tre diverse istanze: offrire uno strumento efficace che consente un profondo reframing dell’esperienza del cliente senza diventare terapia o cura, dunque senza tradire l’intrinseca specificità dell’intervento di counseling, fornire un elemento chiave per la formazione dell’operatore, non solo in termini di saper fare ma anche di saper essere nella relazione d’aiuto, e consentire di affrontare e rispondere in modo efficace alla “domanda di corpo” che sempre più si impone nel panorama storico sociale attuale. Ciò che si vuole delineare inoltre è il profilo di un Mindful Counseling, ovvero l’innesto di tecniche e pratiche meditative strutturate all’interno dell’intervento di counseling, e l’assunzione da parte dell’operatore di una “posizione interiore mindful”, in grado di offrire strumenti importanti quali tra gli altri una migliore qualità di ascolto empatico, di accoglienza e di approfondimento della relazione. Tra le numerose tecniche attualmente diffuse si è scelta la mindfulness per i risultati ottenuti tanto sul piano clinico che terapeutico, e per la fecondità di tale approccio, le cui effettive potenzialità appaiono ancora da esplorare.
Sabrina Rossana Ferrari, Grazia Fortuzzi
“Per quanto in Italia l’accettazione dell’omosessualità sia in aumento, la coppia omosessuale continua ad avere uno statuto sociale e culturale incerto e a dover negoziare con cautela la propria presenza sulla scena sociale, spesso anche familiare. Mentre una coppia eterosessuale per lo più esibisce il proprio essere tale, presentandosi ad amici, parenti, conoscenti, una coppia omosessuale più spesso rimane clandestina, o si rende visibile selettivamente ai diversi ambienti di cui ciascuno dei partner fa parte. Il presentarsi come coppia rende esplicita l’omosessualità in società dove, a prescindere dal quadro normativo, l’omofobia è ancora diffusa e anche un buon numero di coloro che non sono omofobi si trovano spiazzati da un fenomeno solo parzialmente integrato nella cultura prevalente” (Chiara Saraceno in: “Coppie e Famiglie. Non è questione di natura” 2012 Feltrinelli Ed.). L’obiettivo del workshop mira a sollecitare nel counselor, una riflessione relativamente ai propri pensieri, giudizi (o pregiudizi), emozioni e sentimenti inerenti la “scelta d’amore” omosessuale, al fine di comprendere maggiormente i possibili conflitti che tale orientamento sessuale può generare nel cliente, nei componenti la sua famiglia o nella cerchia delle sue relazioni, nonché nel counselor stesso.