Antigone è uno dei miti più amati tra le tragedie greche. Nel 1984 Georges Steiner scriveva che l’Antigone di Sofocle aveva avuto più di 1500 adattamenti e traduzioni fino a quella data.
Rivisitazioni del mito ci hanno accompagnato nei secoli, nei vari momenti della storia, riproponendo una dialettica che attraversa l’agire umano al di là del tempo. Il conflitto di valori, rappresentato da Antigone e Creonte, ci spinge a ripensare le dimensioni dell’etica, della morale, delle leggi scritte, di quelle non scritte e del possibile conflitto tra queste.
Il fascino di questa tragedia risiede negli interrogativi di chi legge, che di volta in volta non può che arrendersi e consolarsi nelle molteplici dimensioni della fragilità e della forza insita in ogni essere umano.
Sofocle coglie con ritmo serrato e cori incalzanti, un tema radicato nell’esperienza umana che conferisce all’opera il dono dell’eterna attualità ovvero la convinzione di ciascuno di possedere la verità e di far riferimento ad una legge assoluta, invalidando e non considerando l’esperienza dell’altro. Questa presunzione è rintracciabile in Antigone come in Creonte e rappresenta il perno della sconfitta di entrambi.
Ripercorriamo brevemente la trama della tragedia per chi non la conoscesse (fonte treccani.it):
Figlia di Edipo e Giocasta, Antigone compare nel mito come colei che premurosamente accompagna il padre cieco in esilio, quando questi è espulso da Tebe, e con lui giunge in Attica a Colono, ove Edipo muore. La fama della fanciulla è legata soprattutto agli eventi successivi alla conclusione della tragica vicenda dei suoi fratelli Eteocle e Polinice.
Dopo che su Tebe ha regnato Edipo, Eteocle e Polinice si accordano per dividersi a turno il trono, ma Eteocle non rispetta i patti. Polinice, scacciato, chiede aiuto al suocero Adrasto, re di Argo, e muove guerra alla città natale con un esercito al cui comando sono sette valenti eroi: è la spedizione nota nel mito come dei “sette contro Tebe”. Eteocle e Polinice muoiono però, l’uno per mano dell’altro, gli assalitori vengono respinti e il potere è assunto da Creonte, fratello di Giocasta. È a questo punto che ha inizio la tragedia di Sofocle.
Considerando Polinice un traditore, Creonte ordina con un editto che il suo cadavere rimanga insepolto. Ma Antigone, mossa dall’affetto di sorella e appellandosi alle leggi divine che impongono pietà per i morti, disobbedisce al decreto del nuovo re. Dopo aver inutilmente tentato di coinvolgere nell’azione la timorosa sorella Ismene, esce di notte fuori le mura, si reca sul luogo ove è stato portato il cadavere di Polinice e gli dà una simbolica sepoltura cospargendolo di polvere. Sorpresa dalle guardie di Creonte, viene portata alla presenza del re, dinanzi al quale rivendica con fierezza la legittimità del suo gesto: ella ha sì violato l’editto del sovrano, ma ha inteso obbedire alle leggi degli dei: leggi “non scritte, inalterabili, fisse, che non da ieri, non da oggi esistono, ma eterne” e perciò di gran lunga superiori alle leggi dei mortali. Creonte, adirato ma incapace di replicare alle argomentazioni della fanciulla, ordina che sia rinchiusa in una grotta fuori città.
Invano suo figlio Emone, fidanzato di Antigone, cerca di intercedere per lei: il dispotico Creonte è sordo anche alle sue preghiere. Solo quando Tebe è colpita da una serie di eventi infausti e l’indovino Tiresia spiega che essi sono dovuti alla collera degli dei, il re concede infine che a Polinice siano resi gli onori funebri. Vorrebbe anche liberare Antigone, ma è troppo tardi: la fanciulla si è tolta la vita impiccandosi; lo stesso Emone, alla vista della fanciulla morta, si suicida; e anche Euridice, la moglie di Creonte, quando apprende che ha perso suo figlio, pone fine ai suoi giorni. A Creonte, solo e disperato, non resta che vivere nel dolore.
Siamo consapevoli del potere evocativo del mito di Antigone e delle tante letture e interpretazioni possibili, il titolo del convegno e questa lettura del mito hanno origine da una riflessione: la storia e l’evoluzione di una professione non può arrendersi alla tentazione di aderire a convinzioni assolute e posizioni radicali.
“Oltre Antigone e Creonte” è un invito all’incontro con l’alterità, con i punti di vista differenti, con le leggi scritte e con l’etica, con il rigore e la passione, con quanto prestabilito e con il nuovo.
È un invito a creare e riconsiderare uno spazio di reale confronto, di proposte, di ascolto, non solo all’interno della nostra comunità professionale, ma anche e soprattutto all’esterno. Perché se è vero che è più facile riconoscersi e tifare per Antigone – passionale e ribelle – è pur vero che Creonte, in un ruolo decisamente più ingrato e meno affascinante, difende la legge nel tentativo di garantire l’ordine e la giustizia per i suoi cittadini.
Entrambi sono convinti di essere nel giusto e si perdono nella vanità di affermare il proprio “potere”, annientando le ragioni dell’altro.
Solo Tiresia, cieco per gli uomini, ma in grado di andare oltre, legge gli eventi e indica la necessità di percorrere un’altra via, mentre Antigone e Creonte perdono l’occasione di aprire lo sguardo verso un finale diverso.
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